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- II
-
- Tra i due mondi, la tregua, in cui non
- siamo.
- Scelte, dedizioni... altro suono non
hanno
- ormai che questo del giardino
gramo
-
- e nobile, in cui caparbio
l'inganno
- che attutiva la vita resta nella
morte.
- Nei cerchi dei sarcofaghi non
fanno
-
- che mostrare la superstite sorte
- di gente laica le laiche
iscrizioni
- in queste grigie pietre, corte
-
- e imponenti. Ancora di passioni
- sfrenate senza scandalo son arse
- le ossa dei miliardari di
nazioni
-
- più grandi; ronzano, quasi mai
- scomparse,
- le ironie dei principi, dei
pederasti,
- i cui corpi sono nell'urne
sparse
-
- inceneriti e non ancora casti.
- Qui il silenzio della morte è
fede
- di un civile silenzio di uomini
rimasti
-
- uomini, di un tedio che nel
tedio
- del Parco, discreto muta: e la
città
- che, indifferente, lo confina in
mezzo
-
- a tuguri e a chiese, empia nella
pietà,
- vi perde il suo splendore. La sua
terra
- grassa di ortiche e di legumi
dà
-
- questi magri cipressi, questa
nera
- umidità che chiazza i muri
intorno
- a smotti ghirigori di bosso, che la
sera
-
- rasserenando spegne in disadorni
- sentori d'alga... quest'erbetta
stenta
- e inodora, dove violetta si
sprofonda
-
- l'atmosfera, con un brivido di
menta,
- o fieno marcio, e quieta vi
prelude
- con diurna malinconia, la spenta
-
- trepidazione della notte. Rude
- di clima, dolcissimo di storia,
è
- tra questi muri il suolo in cui
trasuda
-
- altro suolo; questo umido che
- ricorda altro umido; e risuonano
- - familiari da latitudini e
-
- orizzonti dove inglesi selve
coronano
- laghi spersi nel cielo, tra
praterie
- verdi come fosforici biliardi o
come
-
- smeraldi: "And O ye Fountains..." - le
pie
- invocazioni...
|
- III
-
- Uno straccetto rosso, come
quello
- arrotolato al collo ai
partigiani
- e, presso l'urna, sul terreno
cereo,
-
- diversamente rossi, due gerani.
- Lì tu stai, bandito e con dura
eleganza
- non cattolica, elencato tra
estranei
-
- morti: Le ceneri di Gramsci... Tra
- speranza
- e vecchia sfiducia, ti accosto,
capitato
- per caso in questa magra serra,
innanzi
-
- alla tua tomba, al tuo spirito
restato
- quaggiù tra questi liberi. (O
è qualcosa
- di diverso, forse, di più
estasiato
-
- e anche di più umile, ebbra
simbiosi
- d'adolescente di sesso con
morte...)
- E, da questo paese in cui non ebbe
posa
-
- la tua tensione, sento quale
torto
- - qui nella quiete delle tombe - e
insieme
- quale ragione - nell'inquieta
sorte
-
- nostra - tu avessi stilando le
supreme
- pagine nei giorni del tuo
assassinio.
- Ecco qui ad attestare il seme
-
- non ancora disperso dell'antico
dominio,
- questi morti attaccati a un
possesso
- che affonda nei secoli il suo
abominio
-
- e la sua grandezza: e insieme,
ossesso,
- quel vibrare d'incudini, in
sordina,
- soffocato e accorante - dal
dimesso
-
- rione - ad attestarne la fine.
- Ed ecco qui me stesso... povero,
vestito
- dei panni che i poveri adocchiano in
- vetrine
-
- dal rozzo splendore, e che ha
smarrito
- la sporcizia delle più sperdute
strade,
- delle panche dei tram, da cui
stranito
-
- è il mio giorno: mentre sempre
più rade
- ho di queste vacanze, nel
tormento
- del mantenermi in vita; e se mi
accade
-
- di amare il mondo non è che per
violento
- e ingenuo amore sensuale
- così come, confuso adolescente, un
tempo
-
- l'odiai, se in esso mi feriva il
male
- borghese di me borghese: e ora,
scisso
- - con te - il mondo, oggetto non
appare
-
- di rancore e quasi di mistico
- disprezzo, la parte che ne ha il
potere?
- Eppure senza il tuo rigore,
sussisto
-
- perché non scelgo. Vivo nel non
volere
- del tramontato dopoguerra:
amando
- il mondo che odio - nella sua
miseria
-
- sprezzante e perso - per un oscuro
- scandalo
- della coscienza...
|
-
IV
-
- Lo scandalo del contraddirmi,
- dell'essere
- con te e contro te; con te nel
core,
- in luce, contro te nelle buie
viscere;
-
- del mio paterno stato traditore
- - nel pensiero, in un'ombra di azione
-
- mi so ad esso attaccato nel
calore
-
- degli istinti, dell'estetica
passione;
- attratto da una vita proletaria
- a te anteriore, è per me
religione
-
- la sua allegria, non la
millenaria
- sua lotta: la sua natura, non la
sua
- coscienza: è la forza
originaria
-
- dell'uomo, che nell'atto s'è
perduta,
- a darle l'ebbrezza della
nostalgia,
- una luce poetica: ed altro
più
-
- io non so dirne, che non sia
- giusto ma non sincero, astratto
- amore, non accorante simpatia...
-
- Come i poveri povero, mi attacco
- come loro a umilianti speranze,
- come loro per vivere mi batto
-
- ogni giorno. Ma nella desolante
- mia condizione di diseredato,
- io possiedo: ed è il più
esaltante
-
- dei possessi borghesi, lo stato
- più assoluto. Ma come io possiedo
la
- storia,
- essa mi possiede; ne sono
illuminato:
-
- ma a che serve la luce?
|
-
V
-
- Non dico l'individuo, il
fenomeno
- dell'ardore sensuale e
sentimentale...
- altri vizi esso ha, altro è il
nome
-
- e la fatalità del suo
peccare...
- Ma in esso impastati quali
comuni,
- prenatali vizi, e quale
-
- oggettivo peccato! Non sono
immuni
- gli interni e esterni atti, che lo
fanno
- incarnato alla vita, da nessuna
-
- delle religioni che nella vita
stanno,
- ipoteca di morte, istituite
- a ingannare la luce, a dar luce
- all'inganno.
- Destinate a esser seppellite
- le sue spoglie al Verano, è
cattolica
- la sua lotta con esse:
gesuitiche
-
- le manie con cui dispone il
cuore;
- e ancor più dentro: ha bibliche
astuzie
- la sua coscienza... e ironico
ardore
-
- liberale... e rozza luce, tra i
disgusti
- di dandy provinciale, di
provinciale
- salute... Fino alle infime
minuzie
-
- in cui sfumano, nel fondo
animale,
- Autorità e Anarchia... Ben
protetto
- dall'impura virtù e dall'ebbro
peccare,
-
- difendendo una ingenuità di
ossesso,
- e con quale coscienza!, vive l'io:
io,
- vivo, eludendo la vita, con nel
petto
-
- il senso di una vita che sia
oblio
- accorante, violento... Ah come
- capisco, muto nel fradicio
brusio
-
- del vento, qui dov'è muta
Roma,
- tra i cipressi stancamente
sconvolti,
- presso te, l'anima il cui graffito
suona
-
- Shelley... Come capisco il
vortice
- dei sentimenti, il capriccio
(greco
- nel cuore del patrizio, nordico
-
- villeggiante) che lo inghiottì nel
cieco
- celeste del Tirreno; la carnale
- gioia dell'avventura, estetica
-
- e puerile: mentre prostrata
l'Italia
- come dentro il ventre di
un'enorme
- cicala, spalanca bianchi
litorali,
-
- sparsi nel Lazio di velate torme
- di pini, barocchi, di
giallognole
- radure di ruchetta, dove dorme
-
- col membro gonfio tra gli stracci un
- sogno
- goethiano, il giovincello
ciociaro...
- Nella Maremma, scuri, di stupende
fogne
-
- d'erbasaetta in cui si stampa
chiaro
- il nocciolo, pei viottoli che il
buttero
- della sua gioventù ricolma
ignaro.
-
- Ciecamente fragranti nelle
asciutte
- curve della Versilia, che sul
mare
- aggrovigliato, cieco, i tersi
stucchi,
-
- le tarsie lievi della sua
pasquale
- campagna interamente umana,
- espone, incupita sul Cinquale,
-
- dipanata sotto le torride
Apuane,
- i blu vitrei sul rosa... Di
scogli,
- frane, sconvolti, come per un
panico
-
- di fragranza, nella Riviera,
molle,
- erta, dove il sole lotta con la
brezza
- a dar suprema soavità agli
olii
-
- del mare... E intorno ronza di
lietezza
- lo sterminato strumento a
percussione
- del sesso e della luce: così
avvezza
-
- ne è l'Italia che non ne trema,
come
- morta nella sua vita: gridano
caldi
- da centinaia di porti il nome
-
- del compagno i giovinetti madidi
- nel bruno della faccia, tra la
gente
- rivierasca, presso orti di
cardi,
-
- in luride spiaggette...
-
- Mi chiederai tu, morto
disadorno,
- d'abbandonare questa disperata
- passione di essere nel mondo?
|
- VI
-
- Me ne vado, ti lascio nella sera
- che, benché triste, così
dolce scende
- per noi viventi, con la luce
cerea
-
- che al quartiere in penombra si
- rapprende.
- E lo sommuove. Lo fa più grande,
vuoto,
- intorno, e, più lontano, lo
riaccende
-
- di una vita smaniosa che del
roco
- rotolio dei tram, dei gridi
umani,
- dialettali, fa un concerto fioco
-
- e assoluto. E senti come in quei
lontani
- esseri che, in vita, gridano,
ridono,
- in quei loro veicoli, in quei
grami
-
- caseggiati dove si consuma
l'infido
- ed espansivo dono dell'esistenza
-
- quella vita non è che un
brivido;
-
- corporea, collettiva presenza;
- senti il mancare di ogni
religione
- vera; non vita, ma sopravvivenza
-
- - forse più lieta della vita -
come
- d'un popolo di animali, nel cui
arcano
- orgasmo non ci sia altra
passione
-
- che per l'operare quotidiano:
- umile fervore cui dà un senso di
festa
- l'umile corruzione. Quanto più
è vano
-
- - in questo vuoto della storia, in
questa
- ronzante pausa in cui la vita tace
-
- ogni ideale, meglio è
manifesta
-
- la stupenda, adusta
sensualità
- quasi alessandrina, che tutto
minia
- e impuramente accende, quando
qua
-
- nel mondo, qualcosa crolla, e si
trascina
- il mondo, nella penombra,
rientrando
- in vuote piazze, in scorate
officine...
-
- Già si accendono i lumi,
costellando
- Via Zabaglia, Via Franklin,
l'intero
- Testaccio, disadorno tra il suo
grande
-
- lurido monte, i lungoteveri, il
nero
- fondale, oltre il fiume, che
Monteverde
- ammassa o sfuma invisibile sul
cielo.
-
- Diademi di lumi che si perdono,
- smaglianti, e freddi di
tristezza
- quasi marina... Manca poco alla
cena;
-
- brillano i rari autobus del
quartiere,
- con grappoli d'operai agli
sportelli,
- e gruppi di militari vanno, senza
fretta,
-
- verso il monte che cela in mezzo a
sterri
- fradici e mucchi secchi
d'immondizia
- nell'ombra, rintanate zoccolette
-
- che aspettano irose sopra la
sporcizia
- afrodisiaca: e, non lontano, tra
casette
- abusive ai margini del monte, o in
mezzo
-
- a palazzi, quasi a mondi, dei
ragazzi
- leggeri come stracci giocano alla
brezza
- non più fredda, primaverile;
ardenti
-
- di sventatezza giovanile la
romanesca
- loro sera di maggio scuri
adolescenti
- fischiano pei marciapiedi, nella
festa
-
- vespertina; e scrosciano le
- saracinesche
- dei garages di schianto,
gioiosamente,
- se il buio ha resa serena la
sera,
-
- e in mezzo ai platani di Piazza
Testaccio
- il vento che cade in tremiti di
bufera,
- è ben dolce, benché radendo
i capellacci
-
- e i tufi del Macello, vi si
imbeva
- di sangue marcio, e per ogni
dove
- agiti rifiuti e odore di
miseria.
-
- È un brusio la vita, e questi
persi
- in essa, la perdono serenamente,
- se il cuore ne hanno pieno: a
godersi
-
- eccoli, miseri, la sera: e
potente
- in essi, inermi, per essi, il
mito
- rinasce... Ma io, con il cuore
cosciente
-
- di chi soltanto nella storia ha
vita,
- potrò mai più con pura
passione operare,
- se so che la nostra storia è
finita?
-
- 1954
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